Veronika Voss (Die Sehnsucht der Veronika Voss, 1982), diretto da Rainer Werner Fassbinder, è il suo penultimo film e l’ultimo grande ritratto femminile. Conclude idealmente il percorso del regista nell’analisi della borghesia tedesca, trasformandola in una spietata e struggente allegoria dell’impasse sociale e culturale della Germania del dopoguerra: un Paese sospeso tra memoria e desiderio di futuro, incapace di sostenere il peso del proprio passato e tentato dalla costruzione di un’identità fittizia.
Il film adotta una forma dichiaratamente mélo, con un riferimento evidente a Viale del tramonto. La vicenda segue un’ex attrice del cinema nazista precipitata in un labirinto di amori flebili, impossibili risalite, nostalgia, cinismo, depressione e dipendenza da morfina. Nessun clamore melodrammatico: solo una decadenza intima e disperata.
Lo sguardo di Fassbinder è limpido e implacabile, animato da una passione trattenuta. La fotografia contrastata di Xaver Schwarzenberger costruisce uno spazio allucinato, fatto di luci violente e ombre claustrofobiche, dove la percezione stessa sembra frantumarsi.
Il film appare come un vero testamento spirituale: vi ritornano tutti i temi fassbinderiani: il disfacimento della coppia, l’asimmetria delle relazioni, il vampirismo della psichiatria, la dipendenza come dispositivo di controllo, restituiti con una severità definitiva.
David Pacifici