Grande primo Nino D’Angelo movie. Una rilettura partenopea di Romeo e Giulietta, immersa in una Capri da cartolina, tra amori impossibili, differenze di classe e canzone neomelodica. La regia di Mariano Laurenti, solida nella gestione del ritmo e funzionale nella costruzione della commedia, si muove agile tra gag slapstick e inserti musicali, orchestrando una struttura narrativa che rifiuta la complessità in favore di un’immediatezza perfettamente calibrata. Nino D’Angelo è presenza scenica prima ancora che attore, il suo carisma sopperisce ai limiti interpretativi, la sua naturalezza lo rende credibile, la musica lo trasforma nel perno attorno a cui tutto ruota. Il suo personaggio non evolve, ma non deve farlo. Come direbbe Lotman, è funzione narrativa e mito popolare, non un individuo psicologicamente stratificato ma un eroe romantico prefabbricato, dal cuore grande ma con sfaccimm’. Bombolo e Enzo Cannavale completano il quadro, il primo, corpo slapstick puro, caricatura vivente; il secondo, battutista di vecchia scuola. La loro presenza smorza la deriva zuccherosa, riequilibrando la favola con un’irriverenza da avanspettacolo. Il montaggio, essenziale, segue il ritmo della commedia senza divagazioni stilistiche, affidandosi a una grammatica visiva classica. La fotografia, luminosa e ipersatura, è il veicolo semiotico attraverso cui il film si posiziona, non un realismo crudo, ma un meridione idealizzato, una Capri da mtologia del boom economico. Il vero centro semantico, però, è la musica. “Un jeans e una maglietta” non è solo il titolo del film, è la sua dichiarazione di intenti, un significante che veicola la sua stessa poetica.
Nella sua triviale scontatezza, il film è perfettamente consapevole della propria funzione non innovare, ma consolidare un immaginario, trasformare la melodia napoletana in narrazione cinematografica, scolpire nella memoria collettiva un’icona popolare che trascende il cinema per diventare fenomeno di costume.