Pubblicato dalla Columbia nel 1968, l’unico album dei The United States of America è uno di quei rari casi in cui il rock psichedelico si trasforma in esperimento estetico totale. Nato dall’incontro tra Joseph Byrd, compositore d’avanguardia proveniente dagli ambienti accademici della California, e la voce algida e magnetica di Dorothy Moskowitz, il progetto incarna l’ideale di una controcultura colta, radicale e visionaria.
Il disco è un laboratorio sonoro in anticipo di almeno dieci anni sui tempi: nessuna chitarra elettrica tradizionale, ma un tessuto di sintetizzatori, nastri manipolati, theremin, violini elettrificati e feedback controllati. Byrd fonde minimalismo, elettronica, free jazz e rock in una sintesi che resta ancora oggi dirompente.
I testi, intrisi di marxismo utopico, antimilitarismo e critica del capitalismo americano, rendono il disco una sorta di manifesto politico in forma di allucinazione sonora. Moskowitz canta come una sirena marxista perduta in un caleidoscopio di rumori, inni, marcette e dissolvenze elettroniche.
Ogni brano sembra scaturire da una tensione tra forma e disgregazione: l’America che il gruppo evoca è una distopia psichedelica, un sogno infranto che vibra tra accademia e rivoluzione.
Rarissimo, inclassificabile, eppure perfettamente compiuto: uno dei venti dischi fondamentali della psichedelia americana, un capolavoro assoluto in cui la sperimentazione diventa, finalmente, linguaggio popolare.