Secondo film di Lynch prodotto da Mel Brooks. Opera sublime sulla diversità, marchiata nello splendido bianco e nero contrastato di Freddie Francis, con il magistrale commento sonoro di Alan Splet e con le musiche di John Morris. Considerato come uno tra i migliori ‘tear-jerkers’ di tutti i tempi, il film si colloca nella riflessione che il cinema di quegli anni stava compiendo sul visibile e sull’orrore (Cronemberg, Skolimosky…). Fedele alle sue inquietudini monocromatiche, Lynch se da un lato si affidanda a una narrazione drammaturgica classicamente melodrammatica, dall’altro spinge violentemente sulla grammatica del codice cinematografico, esasperando e deformando lo stile (neo)classico su cui gira visivamente tutto il film: ecco l’uso aberrante della dissolvenza in nero, le frequenti riprese dal basso, l’ossessivo uso dei campi/controcampi destinati a svelare il paradosso della normalizzazione che subirà Merrick, le geometrie oblique con movimenti della mdp da film underground. Grande prova attoriale di Hopkins e di John Hurt, irriconoscibile dietro il trucco dell’uomo elefante.