Shakespeare a colazione (Withnail and I) è un film del 1987 diretto da Bruce Robinson.
Due attori falliti, disoccupati, trasandati intrappolati in un appartamento a Camden Town, bevono gin e parlano di teatro come di una religione estinta. Siamo nel 1969, alla fine del sogno libertario, quando la Londra bohémien si è già quasi spenta e la rivoluzione culturale ha lasciato solo i resti: disordine, umidità, hangover.
Quando Withnail e il suo amico senza nome (I) decidono di fuggire in campagna, credono di cercare libertà, ma trovano un’altra forma di disfatta: pioggia, fame, silenzio. La natura, come l’arte, non salva più. Tutto è finito, ma nessuno lo dice ad alta voce.
Withnail, dandy autodistruttivo e teatrale, recita Shakespeare come se potesse ancora evocare gli dèi; il suo compagno, lo osserva con la pietà di chi sa già che sopravvivere significa rinunciare. Tra i due si consuma una piccola tragedia privata: la fine di un’amicizia, ma anche la fine di un modo di stare al mondo.
Girato nel 1987, il film di Bruce Robinson è un’opera anacronistica in un doppio senso: guarda al 1969, ma parla del presente della sua epoca, il Regno Unito thatcheriano, dove il sogno collettivo è stato sostituito dal culto dell’efficienza, e la disperazione ha assunto la forma elegante del sarcasmo.
Mentre il cinema britannico si biforcava tra il realismo politico di Ken Loach e Mike Leigh che filmavano fabbriche, disoccupazione e lotta di classe, e il nascente nuovo cinema urbano legato alla cultura pop e ai videoclip (i film di Alan Parker, Ridley Scott, gli esordi di Stephen Frears), “Shakespeare a colazione” rifiutava entrambe le strade.
Niente militanza, niente estetismo. Solo la stasi: due corpi, due voci, una malinconia.
È un film senza direzione, e proprio per questo radicale.
Shakespeare a colazione appartiene a quella zona del cinema inglese che non si riconosce né nel proletariato né nella borghesia, ma in una classe intermedia di sconfitti culturali: gli intellettuali impoveriti, gli artisti senza pubblico, i sopravvissuti del ‘68 che non hanno trovato un posto nel mondo nuovo. Robinson li racconta con ironia ma senza complicità, con affetto ma senza indulgenza.
Withnail è l’ultimo romantico, un Amleto ubriaco che combatte contro l’oblio; “I” è la generazione successiva, quella che impara ad adattarsi. Il film è la loro separazione: tra l’arte e la vita, tra la ribellione e la normalità, tra il gesto e il compromesso.
E quando Withnail resta solo, sotto la pioggia, a declamare Amleto davanti a un recinto di mucche, non resta più nulla da salvare se non la bellezza del gesto inutile, la dignità di chi continua a recitare anche senza spettatori.
Così Shakespeare a colazione è una commedia tragica sulla fine della giovinezza e della fede nell’arte, e che trova nella disillusione una forma di lucidità. Il più britannico dei sentimenti: la malinconia con stile