Giugno 1971. L’America ha smesso di credere nei propri sogni, e anche Lee Hazlewood, il cowboy esistenzialista del pop, sembra aver perso la propria ironia. Requiem for an Almost Lady, dodicesimo album e forse il più dimenticato della sua carriera, è un disco spoglio, notturno, in cui l’uomo che aveva scritto per Nancy Sinatra “These Boots Are Made for Walkin’” seppellisce la leggerezza sotto un velo di malinconia lucida e adulta.Qui non c’è più la produzione sontuosa, né il barocco orchestrale dei dischi precedenti. Solo voce, chitarre scarne, qualche linea di basso e un’eco distante. Hazlewood abbandona l’arrangiatore per diventare narratore di se stesso, e racconta la fine — di un amore, di un’epoca, forse di un personaggio. Ogni brano è una confessione compressa, un frammento di memoria pronunciato con la calma stanca di chi non cerca redenzione ma solo chiarezza.Il titolo dice tutto: Requiem for an Almost Lady,  un funerale privato per una donna mai del tutto posseduta, o forse per tutte quelle che non ha saputo tenere. È un concept album in forma di epitaffio, un dialogo tra rimpianto e cinismo, dove Hazlewood alterna ironia velenosa e tenerezza spezzata. Dietro la voce profonda e narrante si intravede un uomo che non riesce più a nascondersi dietro il personaggio: il produttore diventa cantautore, il seduttore si scopre melanconico cronico.
Stanton Swihart lo ha definito “uno dei più grandi dischi di rottura mai incisi, meravigliosamente agonizzante”. Ed è vero: Hazlewood canta la separazione non come tragedia, ma come diagnosi, una malattia dell’anima da osservare sotto luce gialla, con lo stesso fatalismo di un western senza finale.
In poco più di venti minuti, Requiem for an Almost Lady riassume la disillusione degli anni Settanta meglio di molti concept celebrati: un uomo solo, una voce profonda, un microfono e il peso del passato.
Un disco bellissimo e dimenticato, dove ogni canzone è una rosa secca infilata in un bicchiere vuoto — e Hazlewood, col suo sorriso obliquo, osserva la fine dell’amore come l’unica verità possibile.