Film del 1968, considerato erroneamente minore nella filmografia Bergmaniana. L’ora del lupo, secondo la mitologia scandinava, è quella più buia della notte, quella che precede immediatamente l’alba. Bergman esplora il tormento, la fragilità dell’identità, la frattura tra amore e solitudine. Johan, pittore in crisi, e Alma, moglie devota, si ritrovano su un’isola desolata, luogo in cui si confondono spettri e realtà, animato da figure enigmatiche e disturbanti. Scenografia spoglia. Sequenze incubotiche. Ombre, tante ombre. Mostri dell’immaginazione o mostri veri? Tempo e spazio si dilatano. Non c’è certezza. L’ora del lupo è la notte più profonda, quella in cui gli insonni si interrogano, quella in cui gli angeli tacciono e i demoni urlano. Simbolismo potente. Figure grottesche. Un gotico psicologico che spaventa e affascina. Bergman rifiuta ogni spiegazione lineare. Forza lo spettatore a entrare nell’incubo, senza appigli, senza certezze. Fotografia in bianco e nero, ipnotica, profonda. Il tempo scorre, ma è un loop. La psiche implode. Cosa è reale? Cosa è illusione?