Figura cardinale del pensiero ebraico e del rinnovamento filosofico del primo Novecento, Franz Rosenzweig (1886–1929) occupa una posizione liminare tra teologia, filosofia e linguaggio poetico. La sua opera maggiore, “La stella della redenzione” (1921), si configura come un tentativo di oltrepassamento dell’idealismo e della metafisica dell’essere, restituendo alla dimensione religiosa la sua natura originaria di evento, di accadere vivente che coinvolge parola, corpo e mondo.
Rosenzweig non mira a edificare un sistema, ma a dischiudere un’esperienza: quella della rivelazione come incontro, come reciprocità che infrange il monologo dell’io.
La rivelazione, per Rosenzweig, non costituisce la discesa di una divinità trascendente né la trasmissione di un corpus dottrinale. Essa è, piuttosto, un evento relazionale in cui D-o e l’uomo si risvegliano l’uno all’altro. Non vi è “messaggio” né “contenuto”, bensì una parola che interpella, un “Tu” che chiama e, nel chiamare, fonda la soggettività dell’“Io”. L’atto rivelativo non si iscrive nell’ordine della conoscenza, ma in quello della relazione, del linguaggio che si fa amore e risposta.
In tale prospettiva, D-o non è un’entità né una sostanza, ma una presenza che accade, una realtà che esiste soltanto nell’atto del suo manifestarsi. La rivelazione non “parla di D-o”: è D-o, nella misura in cui Egli si dà solo come parola rivolta, come voce che non può essere oggettivata. Il divino non appartiene all’ontologia, ma all’etica del dire e del rispondere. La fede non consiste, allora, nel conoscere o dimostrare, bensì nel lasciarsi coinvolgere da una voce che chiama, nell’assumere la responsabilità implicita in tale chiamata.
Questa concezione consente una interpretazione laica del divino, inteso non come essere personale o trascendente, ma come simbolo della relazione assoluta, della trascendenza dell’Altro che rompe la chiusura dell’io. “D-o” diviene il nome di ciò che eccede ogni definizione, il segno di una vocazione etica che ci sottrae all’autosufficienza e ci restituisce all’alterità del mondo e delle persone.
La rivelazione, così intesa, non appartiene all’ambito del dogma ma a quello dell’esperienza esistenziale: essa è l’irruzione dell’assoluto nel frammento del legame umano, il luogo in cui la trascendenza si fa immanente alla relazione stessa. In questa dinamica dialogica — che è insieme amore, ascolto e responsabilità, Rosenzweig individua la verità più alta dell’esistenza: non la conoscenza di D-o, ma la risposta a D-o, non la contemplazione dell’essere, ma l’accoglimento della parola che ci chiama a essere.