L’australiano (The Shout), diretto da Jerzy Skolimowski nel 1978, è un thriller metafisico di potenza rara: suggestivo, disturbante, attraversato da atmosfere rarefatte e sospese, visionario nelle immagini e nel mood che inocula un’inquietudine panica costante. Film-culto della rinascita del cinema inglese dei primi Ottanta, rielabora la vena più inquieta e sperimentale del Free Cinema in uno stile personale, frammentato e libero. Liberamente tratto da un racconto di Robert Graves, racconta la dissoluzione di una coppia borghese in un villaggio sperduto del Devon, investita dall’irruzione del “sacro” che assume la forma di uno Straniero capace di “uccidere con un urlo”. L’Australiano arriva da un altrove mitico e approda a un luogo-soglia, una comunità che è già un deserto esistenziale: da qui emerge un microcosmo claustrofobico e angosciante, filmato con una freschezza inventiva e una libertà stilistica sorprendenti, capaci di restituire il disagio psicologico che attraversa tutto il racconto. A complicare ulteriormente il quadro è la prospettiva di un narratore inattendibile—lo Straniero? il marito? la moglie?—che mantiene il film in uno stato di ambiguità permanente. Le interpretazioni sono magistrali: Alan Bates nel suo ruolo più luciferino, accanto a John Hurt e Susannah York. Straordinarie le riprese delle coste selvagge del Devon, disturbante e memorabile la colonna sonora firmata da Anthony Banks e Michael Rutherford con gli interventi elettronici di Rupert Hine. Premiato con il Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 1978, ex aequo con Ciao Maschio di Marco Ferreri.

David Pacifici