Girato nel 1968, La morte ha fatto l’uovo è uno degli oggetti più anomali e affascinanti del cinema italiano, un film che sfugge a ogni classificazione — troppo intellettuale per essere un giallo, troppo disturbante per essere solo un film pop. Giulio Questi, autore visionario e marginale, costruisce un’opera che mescola erotismo, industria, alienazione e follia in un ambiente tanto concreto quanto simbolico: un allevamento intensivo di polli, metafora grottesca del capitalismo e della sperimentazione biologica.
Il film, scritto e montato da Kim Arcalli (complice di Bertolucci e Petri), è un esperimento di linguaggio e ritmo. Il montaggio, frenetico e ellittico, destruttura la narrazione fino a renderla un flusso psicotico di immagini e suoni, mentre la fotografia pop e artificiale amplifica la sensazione di delirio. La colonna sonora di Bruno Maderna, modernissima e nervosa, accentua la dimensione atonale e astratta del film, che sembra oscillare tra thriller, fantascienza e teatro dell’assurdo.
Jean-Louis Trintignant, glaciale e ambiguo, e Gina Lollobrigida, sorprendentemente straniante, incarnano una coppia borghese in decomposizione morale, intrappolata in un meccanismo di desiderio e potere che prefigura la violenza psicologica di Antonioni e la crudeltà simbolica di Ferreri. Sullo sfondo, la fabbrica di polli geneticamente manipolati — ispirata a Uova fatali di Bulgakov — diventa laboratorio di un’umanità deformata, in cui la biologia e la colpa si confondono.
La morte ha fatto l’uovo è un film anarchico e corrosivo, costruito come un puzzle che si autodistrugge, un saggio visivo sulla crisi dell’identità e la follia del progresso. Questi, che avrebbe poi realizzato il visionario Arcana (1972), dichiarò anni dopo di aver pensato a questa storia già molto prima, ma che la produzione gli impose di girare un western: la sua vendetta fu Se sei vivo spara (1967), western psichedelico e ferocissimo, uno dei più radicali della storia del genere.
Riguardato oggi, La morte ha fatto l’uovo conserva intatta la sua forza dirompente: è un film che anticipa il postmoderno, disarticola la logica narrativa, e trasforma il thriller in un poema sulla mutazione e sulla follia della modernità, girato con la precisione di un chirurgo e la libertà di un sabotatore.
Il film, scritto e montato da Kim Arcalli (complice di Bertolucci e Petri), è un esperimento di linguaggio e ritmo. Il montaggio, frenetico e ellittico, destruttura la narrazione fino a renderla un flusso psicotico di immagini e suoni, mentre la fotografia pop e artificiale amplifica la sensazione di delirio. La colonna sonora di Bruno Maderna, modernissima e nervosa, accentua la dimensione atonale e astratta del film, che sembra oscillare tra thriller, fantascienza e teatro dell’assurdo.
Jean-Louis Trintignant, glaciale e ambiguo, e Gina Lollobrigida, sorprendentemente straniante, incarnano una coppia borghese in decomposizione morale, intrappolata in un meccanismo di desiderio e potere che prefigura la violenza psicologica di Antonioni e la crudeltà simbolica di Ferreri. Sullo sfondo, la fabbrica di polli geneticamente manipolati — ispirata a Uova fatali di Bulgakov — diventa laboratorio di un’umanità deformata, in cui la biologia e la colpa si confondono.
La morte ha fatto l’uovo è un film anarchico e corrosivo, costruito come un puzzle che si autodistrugge, un saggio visivo sulla crisi dell’identità e la follia del progresso. Questi, che avrebbe poi realizzato il visionario Arcana (1972), dichiarò anni dopo di aver pensato a questa storia già molto prima, ma che la produzione gli impose di girare un western: la sua vendetta fu Se sei vivo spara (1967), western psichedelico e ferocissimo, uno dei più radicali della storia del genere.
Riguardato oggi, La morte ha fatto l’uovo conserva intatta la sua forza dirompente: è un film che anticipa il postmoderno, disarticola la logica narrativa, e trasforma il thriller in un poema sulla mutazione e sulla follia della modernità, girato con la precisione di un chirurgo e la libertà di un sabotatore.