Nel 1974, a New York, apparve un piccolo grande capolavoro della letteratura yiddish: Di rebetsin, tradotto in Italia come La moglie del rabbino. L’autore, Chaim Grade, ebreo lituano emigrato negli Stati Uniti dopo la Shoah, è considerato uno dei massimi scrittori yiddish del Novecento, tanto che Harold Bloom lo definì “il corrispettivo ebraico di Shakespeare”.
Il romanzo, breve ma di straordinaria intensità, è ambientato nella Lituania degli anni Trenta, all’interno di una comunità ortodossa lituana, terreno di sottili tensioni teologiche e morali. Protagonista è Perele, la moglie del rabbino, figura complessa e ambigua, dotata di intelligenza brillante, fascino e una ferrea volontà di potere. Figlia di un celebre rabbino, Perele era stata rifiutata dal suo promesso sposo un promettente talmudista, che aveva intravisto in lei una vena di crudeltà e superbia. Offesa e umiliata, sposerà un uomo più modesto e meno dotato, dedicando il resto della sua vita a un’unica, ossessiva missione: la vendetta.
Ma La moglie del rabbino è molto più di un romanzo psicologico o di un ritratto di donna. È un affresco antropologico e spirituale di un mondo perduto: quello dell’ebraismo ortodosso aschenazita dell’Europa orientale, alle soglie della catastrofe.
Grade vi esplora con finezza estrema le fratture interne all’ebraismo tradizionale, mettendo a confronto il razionalismo talmudico lituano che dette vita al movimento dei Mitnagdim, da cui si sviluppò l’Haskalà (l’Illuminismo ebraico), con il misticismo chassidico dei circoli polacchi.
Il romanzo si addentra anche nelle divisioni politiche e ideologiche che attraversavano le comunità ebraiche del tempo: il sionismo religioso del Mizrahi (Merkaz Ruhani) contrapposto all’antisionismo dell’Agudat Israel, il confronto tra tradizione e modernità, tra la Legge e il desiderio, tra l’autorità maschile e la forza sotterranea del femminile.
Con la sua prosa limpida e rigorosa, Chaim Grade costruisce una narrazione dove la tensione morale si intreccia alla dimensione storica, e in cui ogni personaggio è il riflesso di un dilemma collettivo.
La moglie del rabbino è così un testo di straordinaria densità simbolica: un romanzo teologico e insieme un dramma psicologico, una meditazione sull’ambizione, la colpa e la fede.
Più che un semplice racconto di vendetta, è una riflessione sulla fragilità dell’ordine religioso e sulla natura stessa del potere, dentro e fuori la Legge.
Un piccolo tesoro, letterario, storico e spirituale, oggi disponibile in italiano grazie all’editore Giuntina, custode prezioso della grande tradizione yiddish.

David Pacifici