Ci sono dischi che sembrano nascere fuori dal tempo, sospesi tra sogno e incoscienza. Suddenly One Summer dei J. K. & Co è uno di questi: un piccolo miracolo psichedelico inciso a Vancouver nel 1968 da un ragazzo di appena quindici anni, Jay Kaye, aiutato da un gruppo di musicisti professionisti e dal produttore R.W. Buckley. Quello che ne risulta non è il solito esercizio di flower power adolescenziale, ma un’opera completa, stranamente matura, pervasa da una malinconia visionaria che la distingue da qualsiasi coetaneo dell’epoca.
Dietro l’apparente leggerezza si cela un concept sulla vita e sulla morte, la giovinezza e la perdita dell’innocenza. Le orchestrazioni sono ricche ma mai ridondanti: chitarre acustiche, sitar, tastiere liquide e linee vocali che oscillano tra sogno e dissolvenza. È un disco che respira l’aria della West Coast ma con una sensibilità tutta britannica: i Beatles di Harrison, gli Zombies, i Left Banke, filtrati attraverso la grazia spettrale di un adolescente che scrive come se stesse ricordando la propria infanzia da vecchio.
“Fly” e “Land of Sensations and Delights” suonano come outtakes perdute di Sgt. Pepper’s se registrate in una stanza piena di incenso e malinconia. Ogni brano è un piccolo acquerello onirico, costruito con una cura sorprendente per l’età del suo autore. Non stupisce che il disco, ignorato all’uscita, sia diventato un oggetto di culto assoluto, inseguito dai collezionisti e riscoperto solo decenni dopo grazie ai bootleg e a ristampe mitiche come quella di Akarma, poi restaurato in modo impeccabile dalla Sundazed. Oggi Suddenly One Summer è un documento prezioso: la prova che la psichedelia, al suo apice, non fu solo espansione sensoriale, ma anche nostalgia del futuro, malinconia dell’adolescenza, desiderio di bellezza fragile.