“L’infernale Quinlan” nasce nel 1957 quasi per caso: Welles viene assunto come attore, ma Heston convince la Universal ad affidargli la regia. Gli mettono in mano un noir di confine, budget ridotto e fiducia minima. Welles trasforma quel materiale in un esperimento narrativo e visivo fuori scala: riscrive dialoghi, inventa inquadrature, gira di notte, costruisce un linguaggio che Hollywood non sapeva come gestire. Lo studio rimonta tutto, e solo nel 1998 il film ritorna nella forma prevista dal regista grazie al celebre memo di 58 pagine. Lo strabiliante piano-sequenza d’apertura non è virtuosismo: è una dichiarazione d’intenti, il male che si mette in moto prima ancora che la storia inizi. Grandangoli deformanti, ombre spietate, spazi instabili: ogni scena sembra sul punto di crollare. Quinlan è un corpo che si sgretola mentre impone una legge tutta sua; Vargas è la sua controparte fragile, più etica che eroica. La frontiera non è un luogo ma un clima mentale: motel, vicoli e bar scorrono come un incubo lucido. È il funerale del noir classico e la nascita del noir moderno. Nessun altro film mostra la corruzione come un peso che deforma tutto ciò che tocca.
La caduta finale di Quinlan nel suo stesso fango è una delle chiusure più dure e giuste della storia del cinema.”