Pubblicato da Einaudi nel 1961, questo piccolo e raro volume rappresenta un vero gioiello letterario oggi quasi dimenticato. È un libro singolare, doppio, costruito su due piani narrativi: il primo, esplicito, è la storia raccontata nel testo; il secondo, più misterioso e affascinante, riguarda invece l’identità del suo autore, presentato all’epoca come “un anonimo triestino”.
Solo molti anni dopo si scoprirà che dietro quell’anonimato si celava Giorgio Voghera, inquieto intellettuale e psicanalista ebreo nato a Trieste agli inizi del Novecento. La sua scelta di nascondersi dietro un gioco di meta-narrazione trasforma il libro in un vero e proprio rebus letterario, un labirinto di specchi in cui autore e personaggio sembrano inseguirsi.
La trama, in apparenza semplice, ruota attorno a un innamoramento adolescenziale nato tra le due guerre sui banchi di scuola — un sentimento mai dichiarato, che tuttavia attraversa l’intera esistenza del protagonista, trasformandosi in un dialogo interiore ossessivo, doloroso, fantasmatico.
L’amore non vissuto diventa qui materia di introspezione nevrotica: il narratore analizza con spietata lucidità i propri comportamenti, le emozioni, le paure e le conseguenze irreversibili di quel desiderio trattenuto.
Il protagonista — un adolescente inquieto, spigoloso, timido, orgoglioso e misogino, incarna la tensione fra impulso e rifiuto, fra desiderio e colpa, che segnerà tutta la sua vita.
Claudio Magris ha definito l’opera “un capolavoro di accanita e struggente geometria della rinuncia, un libro scritto contro la vita e che ne fa balenare tutta la seduzione.”
Parole che colgono perfettamente l’essenza del testo: una prosa asciutta e febbrile che indaga l’amore come assenza, la vita come perdita.
Purtroppo, il libro è oggi fuori catalogo e di difficile reperibilità, un peccato, perché resta una delle più intense e raffinate esplorazioni letterarie dell’inquietudine sentimentale e della psiche triestina del Novecento.
David Pacifici
David Pacifici