Qualche giorno fa, da una discussione con una mia amica, mi è venuto lo spunto per scrivere queste note. Premetto che non sono uno storico del giudaismo: quello che ho scritto è una sintesi personale, da prendere cum grano salis e da verificare sempre con fonti più autorevoli. È il frutto delle mie letture su vari testi, un tentativo di ricostruire in maniera sintetica il quadro frammentato delle correnti ebraiche in Eretz Israel nel I secolo e di collocare la figura di Gesù dentro quel contesto.
Partiamo con aver chiaro che il giudaismo del tempo non era affatto un blocco unitario, ma un intreccio di gruppi, visioni e movimenti diversi. Tra le varie correnti, i farisei, vicini al popolo e alle sinagoghe, riconoscevano sia la Torah scritta che quella orale, credevano nella resurrezione e negli angeli: da loro nascerà il giudaismo rabbinico.
I sadducei, aristocrazia sacerdotale legata al Tempio, rifiutavano ogni tradizione oltre al testo scritto, negavano la resurrezione e collaboravano con Roma: scomparvero con la distruzione del Tempio nel 70.
Gli esseni, comunità ascetiche e rigorose, ossessionate dalla purezza, aspettavano due Messia e un’imminente catastrofe cosmica: a loro si legano i Rotoli di Qumran.
Gli zeloti, radicali e militanti, predicavano la rivolta armata contro Roma; da loro derivarono i sicari, che assassinavano collaborazionisti e soldati con pugnali nascosti.
Accanto a loro agivano predicatori penitenziali come Giovanni Battista, che richiamavano il popolo alla teshuvah con immersioni rituali e critica feroce al Tempio.
Non mancavano correnti parallele o minori. I samaritani, con il loro santuario sul monte Garizim, rivali di Gerusalemme, rappresentavano un filone autonomo.
I boetusiani, affini ai sadducei, sono ricordati nelle fonti rabbiniche come setta aristocratica. I dositheani, di matrice samaritana, si raccolsero attorno a un leader messianico di nome Dositheo. I therapeutae, comunità ascetiche di Alessandria descritte da Filone, vivevano tra allegoria filosofica e rigore rituale.
E ancora, la diaspora ellenistica produsse ambienti in cui Torah e filosofia greca si intrecciavano.
Gesù si muove dentro questo paesaggio frammentato. Non era rabbino in senso tecnico, né sacerdote o religioso istituzionale: non apparteneva all’élite del Tempio, né al mondo rabbinico che prenderà forma più tardi. Non fu un esseno, non fu uno zelota, non fu un sadduceo. Dialogava e si scontrava con i farisei, condividendone alcuni punti (resurrezione, valore della Torah) ma criticandone rigidità e formalismo. Con i sadducei era in rottura netta. Degli esseni riprese il linguaggio apocalittico e la critica al Tempio, ma a differenza di loro non si ritirò dal mondo: predicava in mezzo alla gente. Non annunciò rivolta armata come gli zeloti, ma parlò di un Regno di D-o radicale e imminente.
Il suo stile ricorda piuttosto i movimenti penitenziali del tempo, segnato da urgenza escatologica e dal richiamo costante alla teshuvah.
I suoi primi seguaci rimasero pienamente ebrei: osservavano la Torah, pregavano nelle sinagoghe già diffuse in Palestina come luoghi di lettura, studio e coesione comunitaria e salivano al Tempio.
Visti dall’esterno, erano una corrente tra le tante, “i nazorei”. Solo dopo la distruzione del II Tempio e con l’ingresso massiccio di non-ebrei il movimento prese una direzione diversa, fino a trasformarsi in una nuova religione.
In questo senso Gesù non fu il fondatore immediato di un culto separato, ma un predicatore ebreo apocalittico, originale e radicale, che seppe intrecciare motivi diversi in un contesto segnato da correnti interne al giudaismo e da forti influenze ellenistiche.

La sua vicenda e quella dei suoi seguaci non possono essere comprese se non dentro questo mosaico complesso, fatto di farisei, sadducei, esseni, zeloti, samaritani, boetusiani, dositheani, therapeutae e movimenti penitenziali che agitavano Etetz Israel del I secolo.

David Pacifici