Nel 1972 Ottiero Ottieri pubblica Il campo di concentrazione, testo liminale che si colloca tra autobiografia patologica, diario clinico e romanzo di introspezione psichiatrica. Scritto durante il ricovero per depressione in una clinica svizzera, il libro assume la forma di un monologo interiore diaristico, che copre l’arco temporale compreso tra il 27 giugno 1970 e il 28 marzo 1971.
La struttura testuale è caratterizzata da una continuità discorsiva senza cesure, articolata in capitoli estesi, privi di soluzione di continuità sintattica o narrativa: un flusso mentale che tende alla saturazione, in cui il linguaggio registra la deformazione progressiva della coscienza. Il registro è densamente analitico e autoriflessivo, oscillante tra lucidità razionale e delirio depressivo.
Il campo di concentrazione rappresenta una delle esplorazioni più radicali del rapporto tra scrittura e malattia nella letteratura italiana del secondo Novecento. Pur non essendo l’opera più compiuta né formalmente equilibrata di Ottieri, costituisce la sua testimonianza più estrema e privata: un documento psichico trasposto in forma letteraria, in cui la scrittura funge al tempo stesso da terapia e da autopsia della mente.