Nel XVIII secolo, tra le nebbie della Lituania e le pianure della Bielorussia, prende forma una delle fratture più complesse e decisive dell’ebraismo moderno: quella tra i Chassidim, fautori di una spiritualità estatica e popolare, e i Mitnagdim (מִתְנַגְדִים, “gli oppositori”), custodi del rigore talmudico e del razionalismo rabbinico.
Guidati dall’austera figura del Gaon di Vilna (Elia ben Salomone Zalman, 1720–1797), i Mitnagdim rappresentarono il volto “accademico” dell’ebraismo: studiosi ossessionati dalla precisione del testo, da un’ermeneutica della Legge intesa come via verso D-o.
Nel loro universo, la santità non si trovava nel canto o nell’estasi, ma nel commento, nello studio, nella concentrazione del pensiero.
Mentre i chassidim cercavano la devekut, la connessione mistica col divino, i mitnagdim inseguivano la iyun, l’approfondimento esegetico, la dialettica infinita della parola.
Il loro razionalismo rigoroso, pur radicato nell’ortodossia, risuonava con le istanze della Haskalà, l’Illuminismo ebraico che nello stesso periodo da Berlino a Vilna tentava di conciliare fede e ragione, studio religioso e conoscenza secolare.
Senza identificarsi con i “maskilim” (i sostenitori più progressisti dell’Haskalà), i Mitnagdim ne condividevano l’idea che l’intelligenza e la disciplina intellettuale costituissero il cuore della vita ebraica.
In questo senso, si possono considerare una forma tradizionale di modernità: opponendosi tanto all’emozionalismo del Chassidismo quanto all’assimilazione culturale della Haskalà, crearono un terzo spazio, quello dello studio come atto sacro e razionale insieme.
Il conflitto con i Chassidim non fu soltanto teologico, ma anche antropologico e simbolico: due visioni del mondo, due antropologie spirituali.
I Chassidim affermavano l’ebreo del cuore, il mistico danzante, il popolo in festa; i Mitnagdim difendevano l’ebreo della mente, il silenzio della yeshivah, la pagina del Talmud come campo di battaglia e di preghiera.
Da quella tensione nacque una dialettica che ancora oggi plasma l’ebraismo: ragione contro estasi, Legge contro entusiasmo, testo contro esperienza.
Il mondo mitnagdico che sopravvive nelle scuole talmudiche lituane e nell’ortodossia rigorosa contemporanea ha lasciato in eredità la convinzione che la Torah non sia solo rivelazione, ma architettura del pensiero, una forma di razionalità sacra capace di tenere insieme il rigore della logica e l’infinito del divino.
Così, nel gioco di specchi tra Haskalà e Chassidismo, i Mitnagdim restano i guardiani della soglia: il punto d’incontro (e di tensione) tra l’intelligenza e la fede, tra la disciplina del testo e la vertigine del mistero.
David Pacifici