Penultimo film del Maestro e super trashone Viscontiano che supera persino l’agghiacciante Morte a Venezia con il Bogarde – Pierino, nella scena omo-cult della tintura per capelli scaduta che cola. Qui il livello è deprimente, per dare un tono al film viene persino recuperato un senile Lancaster (altra icona Viscontiana) ridotto a macchietta. Se per i primi 15 minuti il film tentennando regge, dopo crolla inesorabilmente con una sceneggiatura piena di ridicolo involontario, come la vecchia nonna affetta da demenza senile mentre piange davanti a una telenovelas. Il contesto politico è risibile; la gioventù messa in scena alquanto relativa e stereotipata. Nel momento in cui Visconti vorrebbe essere corrosivo nei confronti della società e della politica (tirando in mezzo complotti, fascisti e comunisti) ottiene invece l’effetto opposto generando nello spettatore un senso di perplessità. Il Maestro persa ogni dignità confonde la contemporaneità con Caterina Caselli suonata sui mangiadischi, la libertà sessuale con i priapismi di un vecchio sporcaccione. Iva Zanicchi interpeta un brano scritto da Malgioglio. Helmut Berger alla fine risulta credibile nell’eterno ruolo di se stesso.