Un autentico gioiello della letteratura britannica contemporanea, Grottesco di Patrick McGrath si colloca nella nobile tradizione dei romanzi che fanno del lettore la propria vittima consapevole, ingannandolo con la precisione chirurgica dell’ironia e la crudeltà dell’intelligenza narrativa.
Da Sterne a Queneau, da Malerba a Perec, fino alle perversioni gotiche di Nabokov e Highsmith, McGrath costruisce un meccanismo letterario che è insieme parodia, discesa psicologica e raffinata trappola epistemologica.
Il romanzo si apre con la voce di Sir Hugo Coal, nobile britannico immobilizzato e ridotto all’afasia, che si improvvisa narratore onnisciente della propria tragedia domestica.
La sua testimonianza, intrisa di rabbia impotente e sarcasmo velenoso, diventa presto un gioco ottico: la storia dell’inquietante coppia di servitori, i coniugi Fledge e Doris, e della loro graduale infiltrazione nella vita coniugale di Sir Hugo e della moglie Harriet, si trasforma in un labirinto percettivo dove ciò che viene raccontato e ciò che realmente accade divergono inesorabilmente.
McGrath orchestra il tutto con un controllo formale esemplare: l’intera narrazione è costruita sulla dialettica dell’inversione — tra apparenza e verità, tra vittima e carnefice, tra ricattato e ricattatore, tra potere e impotenza.
Il lettore si trova, suo malgrado, catturato nella mente del narratore, prigioniero della sua visione deformante, e costretto a chiedersi, pagina dopo pagina, se ciò che legge non sia altro che una proiezione paranoide.
Il risultato è un romanzo “malato”, nel senso più nobile del termine: un testo che non descrive la follia, ma la produce.
L’umorismo nero, che funge da tessuto connettivo alla vicenda, agisce come un acido sulla superficie del racconto borghese, erodendo le convenzioni del manor novel inglese fino a trasformarlo in una commedia dell’orrore domestico, un dramma da camera in decomposizione.
La scrittura di McGrath è lucida, precisa, tagliente come un bisturi, capace di fondere il comico e il macabro, l’eleganza e l’abiezione, la forma classica e la nevrosi linguistica.
Alla fine, Grottesco non è soltanto una storia di servitù e manipolazione, ma una riflessione sulla menzogna del punto di vista, sulla fragilità della percezione e sulla letteratura come arte dell’inganno.
Il lettore, risucchiato nel delirio di Sir Hugo, finisce per dubitare di tutto, e soprattutto di se stesso.
Un romanzo ambiguo, corrosivo, di rara intelligenza formale e psichica.
Da leggere, ma con cautela: McGrath non racconta una storia, ti rinchiude dentro di essa.