Generic Flipper (1982) è uno dei dischi più radicali e sabotatori della storia del punk. I Flipper, emersi dalla scena di San Francisco, ribaltano completamente le coordinate del genere: niente furia, niente velocità, niente catarsi. Solo lentezza, rumore e un’ironia corrosiva che diventa forma di pensiero. È un disco che non cerca di piacere, ma di disturbare, di smontare ogni certezza del linguaggio rock. Fin dall’apertura con “Ever”, il tono è quello della disillusione assoluta: una voce apatica e tagliente, un basso che martella come un cuore malato, una chitarra che sembra sciogliersi nel feedback. Il gruppo si muove su un piano di decomposizione sonora, trasformando la frustrazione in materia fisica.
In “Life Is Cheap” la rassegnazione diventa groove, in “Life” l’aforisma «Life is the only thing worth living for» assume il peso di una rivelazione nichilista, e in “Sex Bomb” otto minuti di caos ripetitivo, isterico e geniale, il punk si trasforma in una parodia del proprio impulso vitale. Nulla è spontaneo, nulla è retorico: il suono stesso diventa un atto politico, un gesto di sabotaggio contro la sterilità della controcultura californiana dei primi anni Ottanta. Generic Flipper è un capolavoro della negazione, un disco che ride della disperazione e trasforma la noia in energia metafisica. Ascoltarlo significa accettare il vuoto e, nel vuoto, scoprire un nuovo modo di resistere.