Il 1970 è un anno terminale per l’America: il Vietnam divora giovani e coscienze, la recessione corrode il sogno del benessere, le città esplodono in rivolte e l’eroina cancella gli ultimi riflessi dell’utopia hippie. In questo scenario apocalittico, il 7 luglio, a Los Angeles, viene inciso Fun House — il secondo, devastante album degli Stooges.
Dopo il fallimento commerciale del debutto, l’Elektra decide di concedere alla band di Detroit un ultimo tentativo. Alla produzione viene chiamato Don Gallucci, ex Kingsmen, che inizialmente esita: teme che l’energia brutale del gruppo non possa essere catturata su nastro. Ma il miracolo (o l’incidente) avviene. In pochi giorni, in presa diretta, con strumenti sintonizzati più sull’istinto che sull’accordatore, nasce uno dei dischi più feroci e primitivi mai registrati.
Iggy Pop, James Williamson, Scott e Ron Asheton, con il bassista Dave Alexander (autore del capolavoro “Dirt”, destinato a morire cinque anni dopo, a soli ventisette anni), costruiscono un suono che non è più rock: è un rituale di autodistruzione, un sabba elettrico dove il blues viene fatto a pezzi e ricomposto come pura urgenza animale.
Fun House è il punto in cui il rock si contamina definitivamente con il caos. L’influenza di Howlin’ Wolf, che Iggy ascolta ossessivamente, emerge come un’eco ancestrale: il blues ridotto all’osso, deformato, sputato fuori con una furia quasi sciamanica. Ogni traccia è un corpo a corpo tra il ritmo e il disordine “Loose”, “TV Eye”, “1970” , fino al collasso finale di “L.A. Blues”, in cui sax, chitarre e urla si fondono in una trance distruttiva che anticipa il free jazz più radicale.
All’epoca fu un disastro: vendite nulle, recensioni fredde, incomprensione totale. Ma la storia del rock, come quella dell’arte, non la scrive chi vende. Negli anni Ottanta Fun House diventa un testo sacro per l’avanguardia e il punk: Henry Rollins lo tatuò sul petto, John Zorn ne studiò la logica interna come fosse una partitura di rumore organizzato.
Oggi suona ancora come allora: un’apocalisse in tempo reale, un’esplosione registrata per sbaglio.