E tu vivrai nel terrore! L’aldilà (1981) rappresenta una delle punte più alte del cinema visionario, un’opera che si muove oltre i confini dell’horror tradizionale. Se Inferno di Argento si rifaceva a una dimensione simbolista e pittorica, Fulci adotta un linguaggio più materico e disturbante, dove l’orrore non è solo un elemento estetico, ma una forza ineluttabile che domina la narrazione e la destruttura. L’architettura del film è volutamente anarchica: la logica causa-effetto viene sostituita da una costruzione frammentaria, dominata da immagini che si sovrappongono come in un’allucinazione. La Louisiana, con la sua decadenza umida e il suo senso di putrefazione latente, diventa il teatro di un incubo senza via d’uscita, dove il tempo e lo spazio collassano su sé stessi.
La regia di Fulci abbraccia una grammatica dell’eccesso: primi piani insistiti sugli occhi, zoom aggressivi, sequenze di violenza quasi scultorea. La fotografia di Sergio Salvati amplifica la qualità onirica della pellicola, con l’uso di luci irreali e cromatismi morbosi che immergono lo spettatore in un’atmosfera sospesa tra sogno e incubo. Le sequenze di morte sono più che mai tableaux vivants dell’orrore: acidi che divorano la carne, ragni che lacerano la pelle, occhi cavati in un rituale di dissoluzione dell’identità. Ma al di là del gore, è il senso di ineluttabilità a rendere il film unico, la progressione narrativa porta i protagonisti verso un destino già scritto, una discesa irreversibile che culmina in uno dei finali più apocalittici della storia del cinema. Il risultato è un film claustrofobico e metafisico, dove il terrore non è solo nel sangue, ma nell’idea stessa di una realtà che si sgretola sotto i piedi. Con L’aldilà, Fulci gira un film atipico dove le regole del genere, sono dissolte in un poema visivo di pura angoscia. Imperdibile.