Damaged non è soltanto un disco: è una frattura sonora e ideologica. Il manifesto definitivo dell’hardcore americano, il punto di non ritorno di una rabbia collettiva che trova finalmente voce, corpo e distorsione. Fin dalle prime note di Rise Above, il gruppo californiano stabilisce le coordinate di un linguaggio nuovo,  più veloce, più feroce, più viscerale,  in cui l’energia del punk viene spinta al limite e trasformata in qualcosa di più abrasivo, più autodistruttivo, più autentico.
Greg Ginn, con la sua chitarra tagliente e ossessiva, impone un suono fatto di riff circolari, dissonanze e saturazioni che diventano la firma inconfondibile dei Black Flag. Henry Rollins, voce e corpo del disagio, urla testi che non chiedono pietà: rappresenta l’alienazione e la frustrazione di un’intera generazione cresciuta ai margini, schiacciata dal conformismo reaganiano e dalla violenza quotidiana.
La produzione è cruda, volutamente sporca, un rifiuto di ogni patina commerciale. Damaged suona come una registrazione di guerra: tutto è grezzo, urgente, reale. Ogni pezzo sembra una scheggia impazzita Six Pack, Police Story, TV Party  oscillando tra ironia corrosiva e denuncia sociale.
Intorno al disco, la Los Angeles dei primi anni ’80: concerti nei garage, fanzine fotocopiate, risse nei locali, eroina e autodistruzione. È il mondo DIY in cui sopravvivere significa urlare.
Damaged è l’urlo collettivo di chi non si riconosce più nel sistema, una dichiarazione di indipendenza emotiva e politica. Un album imprescindibile per capire non solo la nascita dell’hardcore, ma l’idea stessa di musica come atto di resistenza.
Un punto di riferimento per chiunque voglia toccare la vera, intransigente essenza del punk.