Il debutto dei Cymande, pubblicato nel 1972 per la Janus Records, è uno dei dischi più singolari della black music.
Registrato a Londra, prodotto da John Schroeder, riunisce musicisti originari di Saint Vincent e Grenada, guidati da Steve Scipio (basso) e Patrick Patterson (chitarra), che all’epoca viveno nel quartiere di Brixton, a sud del Tamigi.
L’ensemble, formato da nove elementi, si muove tra funk, soul, psychdelia, reggae, jazz e afrobeat, progressive, ma nessuna di queste etichette basta: il loro suono è un organismo nuovo, nato da una diaspora caribico-africana che aveva trovato nella Londra postcoloniale un laboratorio sonoro e politico.
Il titolo stesso, Cymande, deriva dal creolo che significa “colomba”, simbolo di pace, ma anche di una spiritualità collettiva.
Il disco è costruito su pattern ritmici circolari, basso e percussioni in primo piano, con un uso della chitarra che alterna fraseggi jazzistici a riff quasi funk-rock.
Il groove non è mai lineare: pulsa e si espande come un mantra urbano.
In Bra e Dove, i due brani più noti, si sente la fusione perfetta tra tensione psichedelica e struttura soul: l’hip-hop li riscoprirà decenni dopo, campionandoli (De La Soul, The Fugees, Wu-Tang Clan).
Il basso di Scipio è protagonista assoluto: suona con una fluidità liquida, quasi jazzistica, mentre i fiati (Derek Gibbs, Mike Rose) costruiscono contrappunti essenziali.
La produzione di Schroeder è sorprendentemente pulita per l’epoca: registrata ai De Lane Lea Studios, restituisce spazio e dinamica, con un suono dilatato, che risente del sound progressive di inizio decennio, evitando la compressione tipica del soul-funk americano.
Ma la forza del disco sta anche nel suo contesto: nel 1972, mentre in America il funk era militante e rabbioso, i Cymande scelgono una resistenza sonora più interiore, una psichedelia nera e contemplativa.
È una forma di decolonizzazione gentile, Black consciousness tradotta in architettura ritmica.
Alla distanza di oltre cinquant’anni, Cymande resta un monumento di equilibrio tra intuizione e metodo: un funk europeo che non imita, ma ripensa un suono.
Un disco dove l’intelligenza musicale diventa forma di libertà, e il ritmo calibrato, meditativo, dilatato, sostituisce la parola come linguaggio politico.