Broadway Danny Rose è un film del 1984 scritto, diretto e interpretato da Woody Allen, con Mia Farrow e Nick Apollo Forte come co-protagonisti.
Tra le opere più sottovalutate della filmografia alleniana, Broadway Danny Rose (1984) si impone come un’elegia malinconica e ironica dell’umanità residuale che abita le periferie dell’American Dream, un film che traveste da commedia il più amaro dei racconti morali. Woody Allen, qui sceneggiatore, regista e interprete, costruisce un dispositivo narrativo a cornice, un lungo flashback rievocato tra i tavoli unti del Carnegie Deli, in cui l’aneddoto si trasfigura in parabola, e la memoria in rito collettivo di sopravvivenza.
Girato in un bianco e nero volutamente rétro, firmato da Gordon Willis, il film sembra evocare la fotografia umanista di William Klein e Diane Arbus: ogni volto è una maschera sbrecciata, ogni dettaglio un frammento di un mondo perduto. La New York che Allen mette in scena non è quella sofisticata e nevrotica dei suoi film più celebri, ma un microcosmo di falliti, illusionisti, ventriloqui e crooners dimenticati, la fauna disadorna di un’America che vive di espedienti e nostalgie. In questo paesaggio di detriti umani, Danny Rose, impresario di terz’ordine e redentore improvvisato, emerge come figura quasi talmudica: un Giobbe metropolitano che resiste, nonostante tutto, alla rovina del mondo, fedele alla propria etica dell’impegno e della misericordia.L’ebraismo pervade la pellicola non come mera citazione identitaria, ma come orizzonte etico e simbolico: il senso del dovere, la giustizia come compassione, la fedeltà alla parola data anche quando non conviene. Il Cha’i che pende dal collo di Allen diventa emblema visivo di un’ostinazione morale, la vita come compito e non come destino.
L’eco di Giobbe e di Giona, due figure che conoscono la sventura e la fuga, attraversa il film come un basso continuo, inscrivendo la commedia nella lunga tradizione della teodicea ebraica rovesciata: la ricerca di D-o attraverso il paradosso e la sconfitta.
Sul piano stilistico, Broadway Danny Rose è anche un esercizio di memoria cinematografica: il bianco e nero, i piani fissi, la coralità narrativa richiamano tanto il neorealismo quanto il docudrama. Non a caso, l’opera assume tratti quasi documentaristici nella rievocazione dei Catskill Mountains, luoghi mitologici della comicità ebraico-newyorkese dove nacquero giganti come Mel Brooks e Jerry Lewis; e dove lo stesso Allen affina, in gioventù, il proprio registro di umorismo disperato.Mia Farrow, irriconoscibile dietro gli occhiali scuri e la volgarità affettata della sua Tina Vitale, offre forse la sua interpretazione più sorprendente: una donna triviale e tragica, che incarna la disillusione di un’intera epoca. Attorno a lei, Allen orchestra un balletto di umanità derelitte, tra l’epopea e il vaudeville, componendo una sinfonia dolente sull’improbabile dignità degli sconfitti.
Broadway Danny Rose è dunque un film “minore” solo per chi confonde il clamore con la grandezza. Nella sua apparente leggerezza, contiene in nuce la riflessione più radicale di Allen: che la grazia, come l’arte, nasce non dal successo ma dal fallimento, e che la risata è sempre la sorella segreta della pietà. Da rivedere, anzi da ascoltare, rigorosamente in lingua originale, perché ogni inflessione, ogni pausa, ogni esitazione verbale ne custodisce il respiro morale.