Il 13 febbraio del 1970, il mondo della musica venne sconvolto da un’opera che avrebbe ridefinito il concetto stesso di pesantezza sonora, Black Sabbath, il debutto omonimo della band di Birmingham, segnò l’inizio di un nuovo stile con un impatto tanto inaspettato quanto dirompente. Nati in un’Inghilterra segnata dalla crisi industriale, Ozzy Osbourne, Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward erano operai della musica, cresciuti tra fabbriche e fumo di ciminiere, lontani dai colori psichedelici della Londra hippy.
Fu proprio questa realtà grigia e alienante a forgiare il loro suono, crudo, sinistro, privo di fronzoli, apocalittico. Il disco venne registrato in un giorno il 16 ottobre 1969, con un budget risicato di circa 600 sterline e un approccio “primitivo”, suonato dal vivo in studio con minime sovraincisioni. Il risultato fu un’opera oscura e monolitica, dominata da riff granitici, atmosfere funeree e testi oscuri e sinistri. L’accoglienza della critica fu gelida, troppo pesante, troppo minaccioso, troppo lontano dal rock convenzionale. Ma il pubblico reagì in modo opposto e il disco scalò le classifiche, gettando le fondamenta di un intero genere.
Già dalla title track, con il suo riff basato sul tritono (il leggendario Diabolus in Musica), la band evocava un senso di presagio ineluttabile, accentuato dal lamento ossessivo di Ozzy. Il resto dell’album oscillava tra blues distorto, groove ipnotici e improvvise discese nel doom, come in N.I.B. o Sleeping Village. Ma è con Warning, la lunga suite finale, che la band mostra la sua anima più sperimentale e psichedelica. Cover di un brano originariamente scritto dai The Aynsley Dunbar Retaliation, viene completamente stravolta dai Sabbath in un’ipnotica improvvisazione di quasi 10 minuti, dove Iommi si lancia in una serie di assoli lancinanti, carichi di un lirismo cupo e aggressivo, alternando fraseggi malinconici a bordate elettriche che sembrano dilatare il tempo stesso. Qui, più che in ogni altro pezzo dell’album, si coglie il retaggio blues della band, ma filtrato attraverso una lente di disperazione e follia, come se il rock fosse stato risucchiato in una spirale di oscurità senza ritorno. Se band come Led Zeppelin o Deep Purple spingevano l’hard rock verso virtuosismi e sfumature più raffinate, i Black Sabbath ne rifiutavano l’estetica, preferendo suoni più sporchi, minimali e viscerali. A distanza di oltre mezzo secolo, Black Sabbath rimane il disco che ha aperto un varco nell’oscurità, abbattendo per sempre i confini della musica rock. Non fu solo l’inizio dell’heavy metal, fu la nascita di un culto.