Addio zio Tom (1971) costituisce il quinto lungometraggio della controversa e ormai leggendaria coppia formata da Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, e rappresenta, forse più di ogni altro loro lavoro, il punto di massima radicalizzazione del cosiddetto mondo movie, spinto qui fino a una soglia di parossismo ideologico ed estetico difficilmente eguagliabile.Film violentemente razzista, esplicitamente provocatorio e deliberatamente osceno, Addio zio Tom mette in scena una rievocazione allucinata dell’epopea dello schiavismo e del colonialismo occidentale, riletta attraverso una lente pop estrema che non mira né alla ricostruzione storica né alla denuncia morale, ma piuttosto alla sollecitazione delle pulsioni più morbose dello spettatore. La narrazione,  se così la si può definire, procede per accumulo, per shock successivi, in un flusso sconclusionato e ipertrofico che sovrappone il grottesco a una tecnica filmica non convenzionale, capace tuttavia di una potenza visiva innegabile.Alla sua uscita, il film fu duramente criticato e bollato come esempio di neo-schiavismo massmediologico, anche a causa dell’enorme quantità di comparse nere nude, fornite direttamente dal regime di François “Papa Doc” Duvalier ad Haiti, elemento che contribuì a rendere l’operazione non solo esteticamente disturbante, ma anche politicamente ambigua. Le difficoltà censorie furono immediate: il film venne sequestrato, successivamente rimontato — con interventi diretti dello stesso Jacopetti, e infine redistribuito con il titolo alternativo Zio Tom, in una versione mutilata ma non meno urticante.
Opera profondamente sgradevole, irritante, ridondante, eppure indiscutibilmente stupefacente, Addio zio Tom sembra letteralmente immerso in un bagno lisergico, come se l’intero impianto visivo e concettuale fosse stato pensato sotto l’effetto di un’acida allucinazione collettiva. È un film che respinge e affascina nello stesso gesto, moralmente indifendibile ma formalmente in anticipo di anni luce rispetto alla quasi totalità della produzione coeva, incapace, nel bene e nel male, di ignorarlo.Da segnalare, infine, la colonna sonora di Riz Ortolani, un vero e proprio assalto sonoro dominato da un fuzz violentissimo, che contribuisce in modo decisivo alla sensazione di spaesamento e aggressione percettiva. Non sorprende che il film abbia, da sempre, un seguito nutrito e fedele di appassionati, attratti proprio dalla sua natura estrema e irriducibile.

David Pacifici