Esistono dischi che sembrano provenire da un futuro che non è mai arrivato. Illuminations, uscito nel 1969, è uno di quei rari oggetti sonori che non appartengono a nessuna epoca se non a un altrove visionario, liminale, dove folk, elettronica, esoterismo e sciamanesimo si fondono in un linguaggio inedito, ancora oggi perturbante.
Buffy Sainte-Marie, artista indigena canadese, poetessa radicale, attivista, firma qui il suo capolavoro segreto, un’opera che infrange ogni aspettativa, demolendo le coordinate della canzone folk con una scrittura alchemica e un uso della tecnologia assolutamente pionieristico.
Illuminations è il primo album nella storia ad aver usato il vocoder e a integrare l’elettronica in una struttura folk non in funzione pop, ma come veicolo mistico, rituale, visionario.
I nastri manipolati, il trattamento della voce, le interferenze sintetiche non sono ornamenti, ma strutture portanti di un viaggio che ha più affinità con Aleister Crowley che con Joan Baez.
La produzione (di Maynard Solomon) è sciamanica e ultraterrena, quasi fosse frutto di una seduta medianica piuttosto che di un processo discografico.
Fin dalla traccia d’apertura: God is Alive, Magic is Afoot, da un testo di Leonard Cohen, l’album si configura come un rito gnostico, una teogonia liquida, in cui le parole vibrano tra preghiera, incantamento e delirio.
La voce di Buffy è spirito e carne, ora sibilante, ora tonante, plasmata come materia scultorea attraverso l’elettronica analogica.
Brani come The Vampire o Mary non sono semplici canzoni, ma invocazioni, stanze rituali. C’è nella costruzione melodica e armonica un senso profondo di devianza spirituale, una forza che non cerca mai il consenso, ma l’impatto, l’effrazione mistica. Suffer the Little Children è una nenia distorta che sembra emergere da un incubo ancestrale, The Angel un canto di luce nera, With You, Honey una straniante parentesi di affettività increspata.
Musicalmente, Illuminations è figlio di nessuno. Troppo oscuro per la psichedelia, troppo spirituale per il rock sperimentale, troppo avanti per il folk. Eppure anticipa e in qualche modo travalica i Coil, Bjork, Diamanda Galas, Laurie Anderson, Dead Can Dance, Current 93 e ogni forma di “avant” connessa al corpo e alla mistica.
Rifiutato dal pubblico e frainteso dalla critica al tempo dell’uscita, Illuminations è oggi oggetto di culto e riconosciuto come una delle opere fondamentali dell’occulto musicale del XX secolo. Un disco che non ha derivati né discendenti diretti, ma che aleggia su tutto ciò che cerca di coniugare tecnologia e trascendenza, femminilità e potere, preghiera e dissidenza.
 
 
David Pacifici