Licorice Pizza è, più che un film, è un viaggio a bassa pressione dentro l’adolescenza come fenomeno atmosferico, non lineare, fatto di onde e intermittenze. Paul Thomas Anderson confeziona un oggetto narrativo volutamente sbilenco, privo di struttura apparente, ma sostenuto da un rigore interno che ricorda il soul dei ’70.
Al centro, due corpi: Alana e Gary. Lei, ventenne inquieta e irrisolta, incarna una femminilità spigolosa e antiretorica; lui, quindicenne precoce e goffo, si muove con la tracotanza ingenua dei ragazzini che hanno capito troppo presto come funziona il mondo degli adulti. La tensione tra i due non ha nulla di sentimentale: è un campo magnetico sbilanciato, una danza asimmetrica tra chi cerca un’uscita e chi vuole un ingresso.
Anderson evita con ostinazione qualsiasi climax, preferendo il movimento tangenziale, la deriva episodica, la scena che si apre su se stessa e si chiude in un altrove. L’assenza di una trama forte è un gesto estetico preciso: come a dire che l’adolescenza non si racconta con una struttura, ma con una collezione di slittamenti.
Alana Haim, corpo non standard, volto pensante, energia laterale, porta sullo schermo qualcosa di raramente visto: un personaggio femminile che esiste in quanto tale, e non in funzione di un sistema narrativo. Il suo essere ebrea viene parzialmente tematizzato, ma è più una vibrazione sotterranea che informa il suo modo di stare al mondo: ironico, disilluso, sempre un mezzo passo fuori asse.
L’incontro tra i due protagonisti avviene nel vuoto pneumatico dell’America anni ’70, che qui non è nostalgia, ma condizione psichica. Il petrolio, il marketing, la guerra,del kippur, il glamour posticcio, le promesse mancate: ogni elemento è trattato come sintomo, non come sfondo. E proprio per questo il film, sotto la sua superficie svagata, contiene una malinconia precisa, sottilmente politica.
La regia è invisibile nel modo in cui solo i grandi cineasti sanno essere invisibili. Anderson abbandona le geometrie di There Will Be Blood, l’ironia teorica di The Master, per lasciarsi guidare dai respiri, dagli spostamenti casuali, dai vuoti. Ogni carrellata, ogni fuga, ogni salto temporale sembra arrivare da un luogo di autentica libertà.

Licorice Pizza si muove come un sogno lucido: non spiega, non conclude, non rassicura. E proprio per questo, resta. Come certi pomeriggi d’estate che non hanno senso, ma che ricordiamo per sempre.

 
David Pacifici