Il termine oikofobia dal greco oikos (casa) e phobos (paura, avversione), è stato ripreso dal filosofo inglese Roger Scruton per descrivere quella “malattia” tipicamente occidentale che consiste nell’odiare se stessi, la propria storia, la propria civiltà, mentre si esaltano acriticamente culture e regimi altrui. Nata nei circoli intellttuali progressisti si è negli ultimi decenni dioffusa anche nelle varie classi sociali.
Non è un caso che questo veleno abbia trovato terreno fertile nelle aule scolastiche e universitarie, dove per decenni professoressine dalla penna rossa, cresciute nella sinistra cattolica progressista, hanno ideologizzato intere generazioni con un terzomondismo posticcio. La loro lezione era sempre la stessa: l’Occidente è il male assoluto, responsabile di ogni disgrazia, mentre l’“altro” è fragile, innocente, culturalmente bambino contro un Occidente adulto e colpevole. Dietro questa lettura del mondo abbiamo un razzismo e un etnocentrismo mascherato da compossione.
Si dimentica così che l’imperialismo occidentale, pur terribile e portatore di sfruttamento e tragedie, ha avuto però un carattere unico rispetto ad altri imperialismi. L’impero ottomano ha devastato i Balcani e perseguitato minoranze per secoli. L’imperialismo russo ha annullato popoli e identità, imponendo una macchina di oppressione brutale. L’imperialismo arabo ha condotto una tratta di schiavi africani durata oltre un millennio. Tutti imperialismi feroci, privi di qualsiasi “ritorno” per i popoli dominati.
L’Occidente, invece, accanto alle ombre del colonialismo, ha anche diffuso scoperte scientifiche, medicina moderna, alfabetizzazione, diritto, infrastrutture, idee di libertà e cittadinanza.
Ha alzato il livello di vita di intere popolazioni, ha globalizzato la conoscenza, ha posto le basi di quella modernità che oggi viene data per scontata persino dai suoi più feroci detrattori.
Attenzione l’oikofobia non è giusta autocritica, ma un vero suicidio culturale: una forma di auto–odio che produce cittadini disarmati e regala potere e legittimità proprio a quei regimi autoritari che negano i diritti più elementari.
L’oikofobia in termini di psicologia sociale può essere compresa come la costruzione di un Super-Io collettivo ipertrofico, (peraltro in un periodo dove il Super Io individuale ha perso la sua funzione moralizzante): un’istanza morale che, invece di orientare l’identità occidentale verso la responsabilità, si è trasformata in giudice inflessibile e persecutorio.
È il trionfo di una pedagogia del rimorso, che ha sostituito la coscienza con l’autoflagellazione.
Un disastro culturale senza precedenti che con il 37% di adulti analfabeti funzionali rappresenta una bomba a orologeria.
David Pacifici