In Right Now (1972), Wizz Jones consegna una delle testimonianze più pure e sottilmente sovversive del folk britannico del dopoguerra, un album che, sotto l’apparenza disadorna di un cantautorato acustico, custodisce una riflessione musicale sul tempo, sulla voce e sulla presenza. Registrato ai Marquee Studios di Londra con la produzione di John Renbourn, il disco si muove ai margini della tradizione, là dove il folk non è più semplice recupero delle radici, ma atto di consapevolezza storica: un gesto che, proprio nella fedeltà al linguaggio acustico, mette in discussione la retorica della modernità. Jones, viaggiatore e solitario, elabora un’idea del presente come zona liminale — right now, “adesso” — dove passato e futuro si contraggono in un unico istante di canto, un’epifania fragile ma irripetibile.La voce, lieve e asciutta, mai compiaciuta, si fa strumento di misura: non interpreta, constata. È un canto senza posa teatrale, quasi un parlare in musica, un atto di sobrietà radicale. L’accompagnamento strumentale, raffinato e mai invadente, trova nella chitarra acustica e nel sitar di Renbourn un equilibrio raro: suoni che non abbelliscono, ma
ampliano la risonanza interiore dei brani, aprendo fenditure orientali nel corpo sonoro del folk inglese. È un esperimento che non ricerca l’esotismo, ma una trascendenza del linguaggio musicale, un tentativo di pensare la tradizione non come prigione ma come partitura vivente.
Nei testi e nelle scelte interpretative si percepisce una poetica dell’essenzialità: Jones evita la retorica dell’impegno politico e la malinconia artificiale della nostalgia, scegliendo invece una dimensione contemplativa, quasi stoica, in cui l’esperienza del viaggio, dell’amore, della perdita e del tempo assume la misura di un proverbio antico. Brani come No More Time to Try o Deep Water non aspirano a raccontare, ma a sedimentare: come frammenti di un diario orale, si offrono all’ascolto come verità minime, sospese fra confessione e aforisma.
In questo senso Right Now è un album metafisico, un lavoro che interroga il presente attraverso la lente dell’impermanenza. Ogni accordo è un istante che passa, ogni parola un gesto che tenta di trattenere l’invisibile. La produzione di Renbourn — elegante, essenziale, priva di artifici — trasforma l’intimità in un paesaggio mentale: non la campagna inglese, ma il tempo stesso diventa luogo sonoro.
Forse per questo Right Now non ebbe mai la fortuna commerciale che avrebbe meritato: troppo sobrio per essere moda, troppo indipendente per essere manifesto. Eppure, ascoltato oggi, conserva una freschezza che molti dischi coevi hanno perduto: la sua attualità è inscritta proprio nel titolo, in quel “qui e ora” che è anche dichiarazione poetica. Wizz Jones ci ricorda che la musica, come la vita, esiste soltanto nell’istante in cui viene vissuta: tutto il resto è eco.