Rumore bianco è il romanzo in cui Don DeLillo costruisce una delle più lucide anatomie della modernità americana, un’opera che fonde ironia, terrore e filosofia del quotidiano in un unico dispositivo narrativo. Sotto la superficie di una satira domestica, la vita del professore Jack Gladney, esperto di “studi hitleriani”, della sua famiglia disfunzionale e del loro progressivo collasso DeLillo orchestra una riflessione spietata sulla paura della morte e sui rituali con cui la società tecnologica cerca di neutralizzarla.
Il “rumore bianco” del titolo è onnipresente: è il brusio di fondo dei media, dei supermercati, delle pillole miracolose, dei segnali elettronici che saturano l’esistenza e cancellano ogni silenzio interiore. È la colonna sonora di un mondo che vive anestetizzato, dove la cultura del consumo ha sostituito la spiritualità e dove la morte, rimossa dal linguaggio, continua tuttavia a trapelare come un’interferenza costante.
DeLillo scrive con precisione quasi notarile, ma la sua prosa è intrisa di visioni apocalittiche. Ogni frase registra il dettaglio e insieme lo trasfigura, trasformando la banalità suburbana in un teatro metafisico. L’episodio centrale: la fuga della famiglia durante la “nube tossica” è l’emblema della condizione contemporanea: la catastrofe come routine, l’emergenza come forma di intrattenimento.
Romanzo della paranoia e dell’iperconsumo, Rumore bianco anticipa il XXI secolo con una lucidità inquietante: la dissoluzione dell’identità, l’informazione come malattia, la famiglia come comunità di sopravvivenza emotiva. Il tutto attraversato da un umorismo gelido, che non consola ma amplifica il senso di disorientamento.
DeLillo realizza così un trattato filosofico in forma di farsa, un giallo domestico che diventa elegia del mondo postmoderno.
Uno dei capolavori assoluti della narrativa americana contemporanea: spietato, enigmatico, irripetibile, come il rumore di fondo che accompagna ogni nostra paura.