“Rolled Gold” degli Action è uno di quei dischi che non esistono nel loro tempo, ma lo anticipano e insieme lo chiudono: registrato tra il ’67 e il ’68 e rimasto inedito per decenni, è il documento di una metamorfosi, il punto in cui una band profondamente radicata nella scena mod londinese, fatta di giacche affilate, scooter, R&B e orgoglio working-class, decide di spingersi oltre il proprio codice estetico, lasciando filtrare nella sua musica una luce più ampia, visionaria, quasi estatica. Gli Action, che erano stati tra i migliori interpreti del cosiddetto blue-eyed soul britannico, qui abbandonano la forma-canzone “in giacca e cravatta” e la lucidità urbana dei club per un linguaggio più aperto, rarefatto, onirico, dove il groove si dilata e la melodia si fa pensiero. “Rolled Gold” è un disco fantasma e insieme un ponte: unisce il rigore ritmico del mod beat con l’immaginazione psichedelica che sta per esplodere in Inghilterra — ma lo fa senza le sbornie di colore tipiche del tempo, conservando una tensione morale, quasi una malinconia di fondo, come se la band percepisse che quel mondo ordinato, fatto di stile e disciplina, stesse finendo per dissolversi. In pezzi come Come Around, Brain, In My Dream si sente la consapevolezza di un confine: la chitarra si apre a spazi più vasti, la voce di Reg King diventa insieme dolente e estatica, e ogni accordo sembra un tentativo di trattenere l’istante prima che cambi definitivamente. Ciò che colpisce non è solo la qualità della scrittura — melodie limpide, armonie precise, un senso del tempo degno dei Beatles più inquieti — ma la sua incompiutezza, quel carattere di bozza sublime che ne aumenta il mistero. “Rolled Gold” non è un disco “pubblicato tardi”: è un disco che non poteva nascere allora, troppo sofisticato per il circuito mod, troppo disciplinato per la psichedelia pura, e che oggi suona come il ritratto lucidissimo di una soglia culturale. Gli Action non diventeranno mai famosi come i Who o gli Small Faces, ma in queste registrazioni si sente qualcosa che i loro contemporanei hanno solo sfiorato: la possibilità di coniugare l’eleganza con la visione, l’energia con la riflessione, la danza con la perdita. È la musica di un momento irripetibile, quando la forma comincia a disfarsi ma non ha ancora smesso di credere nella bellezza.