Per me, la figura di Ehud, narrata nel libro dei Giudici, è sempre stata tra le più enigmatiche e perturbanti dell’intera Torah: un frammento narrativo breve ma folgorante, che sembra custodire nella sua concisione la densità di un midrash vivente. Ehud, il giudice mancino della tribù di Beniamino (la tribu della mano destra), emerge in un contesto di oppressione: Israele è sottomesso al re moabita Eglon, la terra è gravata dal peso del tributo, e il ciclo classico dei Giudici – peccato, oppressione, invocazione, salvezza – si prepara a ripetersi. Ma la sua liberazione non avviene attraverso la forza frontale o l’epica militare, bensì mediante un atto di ambiguità estrema, quasi teatrale: l’assassinio di Eglon nella solitudine della sala alta, dopo che Ehud gli consegna il tributo e, con un gesto improvviso e rovesciato, estrae la spada nascosta sul fianco destro, là dove nessuno si aspetterebbe che un uomo impugni un’arma.
Il Talmud e i midrashim insistono sulla sua mancinanza come segno identitario e simbolico: non mera curiosità fisica, ma dislocazione, deviazione dalla norma, capacità di sorprendere l’ordine del potere. In chiave psicoanalitica, Ehud incarna la funzione dell’inconscio che rompe la linearità della Legge apparente: il suo gesto mancino è la manifestazione di una lateralità psichica, un’azione che scaturisce dalla zona d’ombra e che, per questo, risulta imprevedibile e liberatoria. L’arma nascosta sul fianco destro – lato non naturale per l’estrazione – si presta a una lettura semiotica come segno dell’asimmetria: il potere oppressore si attende una frontalità, ma viene colpito da un “fuori campo” del corpo e della mente, da quel luogo in cui l’identità stessa si piega e sorprende.
La narrazione biblica, con la crudezza del dettaglio del grasso di Eglon che inghiotte la lama, sembra penetrare una dimensione arcaica, quasi freudiana: il corpo del nemico come matrice da penetrare e rovesciare, un ritorno del rimosso in forma di atto liberatorio che mescola violenza e simbolo. Ehud non è un eroe solare ma un trickster sacro, un Giudice che opera per deviazione, un mediatore tra il visibile e il sotterraneo, e nella sua mancina dissimmetria ci ricorda che la salvezza, nella Torah, può scaturire anche da ciò che appare marginale, obliquo, inatteso.