The Addiction – Vampiri a New York (1995), di Abel Ferrara, è un horror solo nominalmente. In realtà è un film sul male come pratica quotidiana, sulla colpa come stato di fatto, non come eccezione.
Il vampirismo funziona come metafora della dipendenza: non c’è seduzione, ma necessità. Il gesto si ripete per automatismo, non per scelta. Il libero arbitrio è ridotto a una soglia instabile, sempre sul punto di cedere.
Annabella Sciorra interpreta un personaggio lucido, razionale, che non viene “corrotto” ma semplicemente portato a compimento. La trasformazione non produce potere, ma consumo di sé.
Christopher Walken introduce il livello teorico del film: i suoi monologhi spostano il racconto sul piano filosofico e storico del male, dal singolo alla specie
Il bianco e nero di Ken Kelsch elimina ogni residuo decorativo: l’immagine è spogliata, funzionale, verticale. New York non è scenario, ma superficie neutra su cui il male si esercita
Le presenze di Falco e Michael Imperioli restano laterali, coerenti con un mondo di figure che passano e scompaiono senza peso specifico.
The Addiction è un film senza catarsi: non spiega, non redime, non giudica apertamente. Registra una dinamica e la porta fino in fondo. È questo che lo rende perturbante.