Nel cuore de L’infernale Quinlan c’è un piano-sequenza meno celebre dell’incipit ma forse ancor più decisivo: la lunga scena dell’interrogatorio di Sanchez nel commissariato, dove Welles concentra non solo la tensione drammatica, ma la propria idea di cinema come luogo di rivelazione morale.
La macchina da presa entra nello spazio chiuso come un organismo vivente, inseguendo Quinlan e Menzies senza un solo stacco, trasformando l’ufficio della polizia in una camera di “decompressione etica” in cui ogni movimento, ogni minima variazione di luce diventa un segnale della lotta sotterranea tra autorità e verità.
Quinlan occupa sempre la parte bassa e ombrosa dell’inquadratura, massa opprimente che sembra deformare lo spazio attorno a sé, mentre Vargas resta su un asse più luminoso, quasi riflesso di un’idea astratta di legalità; nel mezzo, schiacciato tra le due forze, il giovane sospettato, più oggetto che soggetto, incarnazione fragile di una colpa che il film non si cura nemmeno di verificare.
Il piano-sequenza procede con una fluidità inquieta: panoramiche lente, carrellate minime, scivolamenti laterali che spostano l’asse morale della scena senza mai risolverlo.
È una continuità che soffoca, perché l’assenza di montaggio priva lo spettatore di ogni possibilità di fuga: tutto accade lì, in un unico blocco temporale che confonde la nostra posizione con quella della macchina da presa, giudice muto e implacabile. Il punto di massima tensione arriva quando Quinlan “trova” il falso indizio che dovrebbe incastrare Sánchez; in quell’istante la menzogna si materializza nello stesso spazio in cui Vargas tenta di opporsi, e la macchina da presa li incornicia insieme come due principi incompatibili che però condividono lo stesso mondo.
È qui che il film mostra il suo vero nucleo: il male non nasce dalla criminalità che Quinlan pretende di combattere, ma dalla pulsione derivante dal delirio di onnipotenza. Quinlan incarna la perversione dell’Io che si crede un dio, e che può decidere di vita o di morte fuori da ogni regola.
Welles filma tutto senza alzare la voce, affidando alla continuità del piano-sequenza la rivelazione più scomoda del film: non c’è nulla di più pericoloso dell’autorità che smette di dubitare. Ed è per questo che questa scena, nascosta dietro la fama dell’incipit, resta una delle più grandi dimostrazioni di come il cinema possa far emergere l’etica non attraverso il discorso, ma attraverso lo spazio, il tempo e lo sguardo che li attraversa senza mai distogliersi.
p.s. Welles amava questo piano sequenza e non ha mai amato invece il primo perchè troppo esplicito