On the Shore dei Trees, uscito nel 1971, è uno degli album più singolari del folk-rock britannico, collocato nella scena del folk revival ma già eccentrico rispetto ai modelli più codificati: non condivide la disciplina quasi filologica dei Fairport Convention né l’impostazione cameristica dei Pentangle, preferendo una struttura sonora irregolare, basata sul dialogo non sempre prevedibile tra le chitarre e sulla voce di Celia Humphris, che mantiene un distacco controllato dal materiale, evitando sia la dolcezza folklorica sia la teatralità che caratterizzava parte della produzione coeva. La band opera così in una zona intermedia tra tradizione e psichedelia, senza però trasformare la tradizione in un semplice pretesto modernizzante, quanto piuttosto in un campo aperto di lavoro timbrico.
Il disco procede con un equilibrio che non punta sulla costruzione di un climax ma su una serie di modulazioni interne, spesso impercettibili, che creano un clima di sospensione continua: pochi brani emergono come “centri”, perché l’intero lavoro si comporta come un unico continuum in cui la voce, le chitarre e la sezione ritmica sembrano verificare, passo dopo passo, la propria coesione. L’impressione complessiva è quella di un gruppo che non cerca un’identità dichiarata, ma la produce quasi per sottrazione.
Un dettaglio spesso trascurato, ma rilevante per comprendere anche l’immaginario visivo dell’album, riguarda la location legata alla band in quel periodo: Inverforth House, a North End Way, nei pressi dell’Hampstead Heath di Londra, dove vennero scattate alcune delle fotografie più note dei Trees. La villa, un edificio imponente, immerso in un’area verde che si apre e si richiude in scorci inattesi, fornisce una cornice coerente con l’estetica del gruppo: un luogo appartato, sospeso tra ordine formale e un leggero senso di isolamento, lontano dalla centralità urbana e dalle stilizzazioni della scena musicale più visibile.
In questa intersezione tra un folk già elettrificato e una ricerca timbrica non programmatica, tra una band periferica rispetto ai nomi maggiori e una dimensione visiva che contribuisce a definire la loro distanza dalla scena dominante, On the Shore rimane un documento prezioso per capire cosa accadde quando il folk britannico tentò di oltrepassare i propri confini senza trasformarsi in un genere codificato.