Un film gelido, claustrofobico, quasi ipnotico nella sua capacità di comprimere il male in spazi angusti. Fleischer dirige con mano ferma questo cupo resoconto sul serial killer John Christie, interpretato da un Richard Attenborough spettrale, silenzioso, untuoso come un ragno nella tela.
Niente compiacimenti truculenti, niente moralismi: il film è un lento scivolare nell’abisso domestico, nel grigiore oppressivo di una Londra postbellica dove l’orrore non ha bisogno di effetti speciali, ma si annida nei dettagli: una stanza in affitto, una tazza di tè, uno sguardo basso. John Hurt, nei panni del povero Timothy Evans, incarna un’umanità fragile e manipolabile, vittima designata di un sistema cieco e di un carnefice senza volto sociale.
La regia asciutta, quasi documentaria, e la fotografia livida trasformano il racconto in una tragedia silenziosa, dove l’unico rumore è il battito sommesso di un mondo che ignora. Fleischer costruisce così non solo un noir criminale, ma un ritratto del male piccolo-borghese, grigio, senza redenzione.
Un film che ti si attacca addosso con la forza di un incubo senza grida, e che, una volta visto, non si scrolla più via. Da recuperare, rigorosamente, in lingua originale.