Album del 1982. I Gun Club prendono il punk e lo contaminano con il blues, il country e il rock’n’roll più viscerale, ne esce un capolavoro: il suono di Miami è un grido, un incantesimo, una dannazione. Jeffrey Lee Pierce guida la band come uno sciamano maledetto. La sua voce è piena di dolore, rabbia, estasi. Prodotto da Chris Stein dei Blondie, l’album ha un suono sporco e febbrile. Riff taglienti, ritmi tribali, atmosfere che oscillano tra il deserto e il voodoo. Ogni brano è una storia. Carry Home, struggente. Devil in the Woods, oscuro rituale. Mother of Earth, ballata funebre e luminosa. C’è poesia nella disperazione. C’è bellezza nella rovina. Miami è il manifesto di un’America decadente, romantica, perduta. Un viaggio nei bassifondi dell’anima, tra fantasmi e leggende.
Un album che non invecchia. Che brucia ancora, I Gun Club erano unici. Miami è la loro anima nuda.
 
 
David Pacifici