Con Non è un paese per vecchi, i fratelli Coen raggiungono uno dei vertici più aspri e metafisici del loro cinema. Tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, il film incide come una lama sulla carne viva dell’America rurale degli anni Ottanta: un paesaggio arido, spopolato, attraversato da uomini che inseguono un denaro privo di valore simbolico, puro McGuffin che catalizza la violenza e la predestinazione.
La struttura narrativa, frammentaria e ipnotica, alterna silenzi assoluti a improvvise detonazioni di brutalità: una coreografia dell’attesa e dell’improvviso. Il montaggio, chirurgico e misurato, costruisce la tensione come un lento veleno. Ogni inquadratura pesa come un responso, ogni pausa è un presagio.
Il film si configura come una parabola qabalistica al negativo: un tzimtzum rovesciato, dove lo svuotamento non genera creazione ma caos, assenza di senso, dissoluzione etica. In questo spazio rarefatto e desolato si muove Anton Chigurh, interpretato da un inquietante Javier Bardem: figura implacabile e inumana, angelo della morte e automa del destino. Il suo volto impassibile e la sua meccanica crudeltà lo rendono una sorta di Golem moderno, creatura senza anima né libero arbitrio, mosso da una logica di necessità assoluta.
I Coen smontano il genere thriller fino al suo nucleo entropico: non c’è redenzione, non c’è catarsi, soltanto il riverbero del nulla. Lo sceriffo Bell, un Tommy Lee Jones di struggente malinconia,  ne è il contrappunto umano e disfatto: voce narrante di un’America che ha perso ogni orizzonte morale, ultimo testimone di un ordine che si dissolve davanti ai suoi occhi stanchi.
La fotografia di Roger Deakins incide la materia del paesaggio con luci feroci, scabre, pietrificate: l’immensità del deserto diventa prigione, l’aperto si chiude su sé stesso.
Non è un paese per vecchi è dunque una meditazione sulla disgregazione: del mito americano, del male come categoria morale, del senso stesso della narrazione. Un film sul vuoto, che non spiega ma espone, non consola ma ferisce. Capolavoro assoluto, dove il silenzio pesa più di qualsiasi parola.

David Pacifici