Con L’angelo della vendetta, Abel Ferrara firma uno dei manifesti più cupi e disturbanti del cinema urbano americano dei primi anni Ottanta. Al centro del racconto, una giovane sarta muta, vittima di una doppia violenza, che sceglie di reagire con un’escalation di vendetta furiosa, cieca e infine autodistruttiva.
Ferrara inscrive il film nel filone “rape & revenge”, ma lo trascende, trasformando l’archetipo della vittima che si ribella in una figura tragica e allucinata, sospesa tra trauma e iconoclastia. L’ambientazione newyorkese, sporca, fredda e febbrile, restituisce una metropoli in decomposizione morale: un inferno quotidiano che rimanda al cinema di Scorsese ma con un’ironia ancora più corrosiva, sulfurea, quasi blasfema.
La messa in scena è scabra, pulsante, interamente votata alla potenza sensoriale della pure exploitation: montaggio nervoso, fotografia livida e granulosa di James Lemmo, virtuosismi visivi che rivelano la mano di un autore ossessionato dal peccato e dalla redenzione.
Indimenticabile la protagonista Thana,  interpretata da una magnetica e appena diciassettenne Zoë Tamerlis, la cui metamorfosi culmina nella celebre sequenza finale in cui, vestita da suora e armata di pistola, diventa una sorta di santa della vendetta postmoderna, icona dark e simbolo di un femminile apocalittico.
La sceneggiatura di Nicholas St. John, fedele sodale di Ferrara, introduce sprazzi di humour nero e una tensione quasi teologica tra colpa e purificazione. Nonostante il budget ridotto, Ms. 45 resta un’opera di culto assoluta, un piccolo film infernale e folgorante, chiuso da un finale di straordinaria potenza visiva, accompagnato da una colonna sonora No Wave che sigilla definitivamente il legame del film con la New York più malata e visionaria.

David Pacifici