Quando More Love Songs esce nel 1986, Loudon Wainwright III ha già superato da tempo la soglia dell’autocommiserazione come materiale creativo. La sua scrittura, erede di una tradizione folk che da Dylan ha tratto la libertà strutturale più che il tono profetico, si muove lungo un asse ironico, asciutto, in cui la confessione diventa meccanismo linguistico e non terapia.
In questo disco, forse il suo più coerente degli anni Ottanta, Wainwright sembra raggiungere una forma di equilibrio tra introspezione e distacco, come se il cantautore avesse finalmente accettato di essere l’oggetto stesso della propria indagine.
L’album nasce dall’incontro con Richard Thompson, che ne cura la produzione e vi partecipa come chitarrista.
La collaborazione è decisiva: Thompson imprime al suono una qualità terrosa, acustica, quasi da seduta live priva di qualsiasi tentazione levigante. L’impianto è essenziale, ma ogni dettaglio è calibrato con intelligenza timbrica.
La voce di Wainwright si muove su un piano quasi teatrale, sospesa tra il monologo e la confessione cantata, e conserva quella tensione irrisolta che ne fa da sempre uno degli interpreti più riconoscibili della scena americana.
L’ironia agisce come principio strutturale: modula la percezione del dolore, trasforma l’autobiografia in osservazione. Wainwright costruisce un equilibrio sottile tra il linguaggio del disincanto e quello della precisione. “Your Mother and I” rappresenta in modo emblematico questa scrittura spezzata, domestica, disadorna: la voce spiega, ma ogni parola lascia un residuo di affetto trattenuto. Il tono apparentemente sereno del brano nasconde una complessa gestione della distanza emotiva, un uso del registro colloquiale come strumento di messa a fuoco.
L’impianto musicale conserva un minimalismo coerente. Gli arrangiamenti, sobri e privi di compiacimento, sottolineano la qualità prosodica della scrittura. L’intonazione talvolta irregolare, l’uso di pause e respiri strategici, la scelta di tonalità intermedie: tutto concorre a dare alla parola un primato espressivo. La chitarra acustica non accompagna ma risponde, la struttura armonica non sostiene ma commenta.
Il titolo, volutamente neutro e ironico, introduce una riflessione meta-musicale. “More Love Songs” suona come un gesto autocritico, un’ammissione di ridondanza che si trasforma in poetica. L’amore diventa un genere da analizzare, una grammatica da smontare con lucidità. Ogni brano rappresenta una variazione su questo tema, una verifica dei limiti di ciò che può ancora dirsi dopo decenni di canzone sentimentale.
Riascoltato oggi, il disco mantiene una freschezza teorica sorprendente: la voce di Wainwright continua a oscillare tra confessione e parodia, senza cadere mai nella caricatura o nell’autoindulgenza. Ogni brano conserva il senso di una necessità, come se la verità, per esistere, dovesse passare attraverso la distorsione del riso.
David Pacifici