Il 1° novembre 1967 usciva Forever Changes, terzo album dei Love, capolavoro fragile e luminoso della stagione psichedelica californiana, ma anche una delle sue più malinconiche elegie.
Registrato nell’arco di quattro mesi tra enormi difficoltà, con il ricorso a due sessionman per sopperire alle precarie condizioni di tossicodipendenza della band, Forever Changes rappresenta il punto di rottura nella parabola dei Love e del suo enigmatico leader Arthur Lee.
Dopo le derive improvvisative e le jam lisergiche dei precedenti Love e Da Capo, l’album sceglie la via della forma compiuta, del lirismo orchestrale, della melodia come ultimo rifugio.
Il risultato è un equilibrio miracoloso fra psichedelia, folk elettrico e sensibilità pop: chitarre jingle-jangle, sezioni d’archi e ottoni, ritmiche asciutte e precise, e un senso di sospensione perenne, come se la musica oscillasse tra sogno e presagio. È un disco di contrasti: solare e malinconico, vivido e spettrale, dolce e inesorabilmente terminale.
Lee, in piena crisi personale e ossessionato dalla morte, scrive testi che hanno il tono dell’addio. Disse di quell’album:

“Mentre facevo quell’album, pensavo che sarei morto.”

E in effetti, Forever Changes suona come un testamento anticipato: un viaggio in un’America allucinata, sulle soglie del collasso, dove il sogno hippy si trasforma in una visione malata e distorta. Anche il titolo, “Cambiamenti per sempre” sembra alludere, più che a una speranza di mutamento, a una presa d’atto definitiva: tutto cambia, e nulla resta.
Musicalmente, l’album è una sintesi lirica e modernissima: un mosaico in cui confluiscono la purezza del folk, l’inquietudine del rock psichedelico e la disciplina della scrittura orchestrale.
Canzoni come Alone Again Or, Andmoreagain, The Red Telephone e You Set the Scene costruiscono un universo acustico sospeso, intimo, intensamente visivo: un’America filtrata attraverso lo sguardo allucinato di un poeta che osserva la fine del proprio mondo.
All’epoca, Forever Changes fu un insuccesso commerciale negli Stati Uniti, ma trovò riconoscimento immediato nel Regno Unito, dove entrò nella Top 30. Solo col tempo venne riconosciuto come un capolavoro assoluto: Rolling Stone lo ha inserito al 40º posto nella classifica dei migliori album di tutti i tempi.
Oggi Forever Changes resta uno dei più limpidi esempi di come la psichedelia potesse trasformarsi in introspezione, la visionarietà in destino, la melodia in atto di resistenza contro la disgregazione.
È il suono di un’epoca che si guarda allo specchio e non riesce più a riconoscersi.