Pura estasi cinematografica diretta da Carl T. Dreyer e fotografata da Rudolph Maté. Considerato l’ultimo capolavoro del muto, la pellicola di Dreyer rappresenta la sintesi totale delle tendenze artistiche nel cinema fino a quel momento: le scenografie contrastate sono puro espressionismo, i movimenti di macchina e l’uso ardito del primo e primissimo piano dei volti, che sembrano creare una sinfonia, riportano al Kammerspiel, mentre il montaggio espressivo è inequivocabilmente di scuola russa. Da sottolineare l’ utilizza di Dreyer del movimento di macchina pendolare per scandagliare lo spazio a 180° gradi. L’architettura è ignorata, sfidata e decostruita, attraverso un montaggio che rende lo spazio discontinuo e visivamente non percorribile. Atmosfera allucinata, sviluppato in un non-tempo e un non-luogo che sembra rappresentare lo spazio del dolore. I richiami a Hyeronymus Bosch sono innumerevoli. Film dalla produzione sofferta con un costo della costruzione di set e scenografie che fu il più alto dell’epoca in Europa: sette milioni di franchi furono spesi solo per assecondare la volontà di Dreyer di ricostruire fedelmente nella periferia parigina il Castello di Rouen. Meravigliosa e perfetta la Falconetti, nel ruolo di Giovanna D’Arco. Da vedere senza sonoro.